martedì 15 settembre 2015

I polmoni dei cantierini di Monfalcone

Due brevi brani del libro di Roberto Covaz "Amianto, i polmoni dei cantierini di Monfalcone" ed. Biblioteca dell'Immagine

HO VISTO UOMINI ACCAREZZARE UNA LAMIERA
Ho visto uomini accarezzare una lamiera, una tavola di legno, una saldatura. Li ho visti assorti a cogliere chissà quali particolari di un bestione da centomila e passa tonnellate di acciaio. Quei gusci miracolosi che si chia­mano navi e che sono serviti a scoprire la terra. Se non li avessero inventati a quest'ora il mondo sarebbe la metà del mondo.
Nel cantiere di Monfalcone è da più di un secolo che i miracoli si ripetono. Perché come faccia a galleggiare un pezzo di ferro non basta la fisica a spiegarlo. C'è dell'altro, c'è la mano invisibile di un gigante che spunta dagli abissi a tenerlo su. Solo che queste storie vanno raccontate ai bambini ingenui, come lo erano i figli dei cantierini che ai primi di dicembre entravano in cantiere a scegliere il regalo che avrebbero ricevuto da Babbo Natale. Ora le fabbriche sotto Natale regalano al dipendente un pacchetto di cassa integrazione se va bene; se va male mobilità e un calcio nel sedere. Dei bambini manco per l'anticamera.
Il cantiere di Monfalcone è quello che sta nel punto più a Nord del mare Adriatico. Si dovrebbe scrivere golfo Adriatico del mare Dalmatico. Così lo chiamavano gli Uscocchi, i pirati cristiani che derubavano i veneziani per aiutare i poveri.

IL FUTURO NEGATO
Una pubblicità radiofonica ammonisce che la nostra generazione ha ricevuto dai padri un mondo migliore rispetto al loro. Abbiamo il dovere di lasciare ai nostri figli uno ancora più bello. Dipende dall'età, ma credo che i padri cui si riferisce la pubblicità siano i figli del dopoguerra, capaci di ricostruire l'Italia dalle macerie. Quelle provocate dai bombardamenti sono le peggiori. Sotto c'erano i morti.
Ogni generazione ha le sue macerie e le sue vittime. Oggi ci sono quelle sociali, di un vivere senza bussola, di un parlarsi senza ascoltarsi. L'era di Twitter, comunicare con 140 caratteri al massimo e meglio se di meno. Tanto, se nessuno ascolta che senso ha comunicare?
La pubblicità richiama al concetto di futuro che secondo me è il tempo migliore. Non costa niente e non provoca dolore. Il futuro è la cornice della democrazia compiuta, solo che lo spostano sempre più in là in modo che ad arrivarci sarà sempre una minoranza.
Non ricordiamo nemmeno le promesse elettorali di cinque anni prima e puntualmente commettiamo gli stessi errori. E nell'urna che diamo il peggio di noi stessi. Figuriamoci se quando saremo nel futuro lo rammenteremo come lo immaginiamo ora.


(continua …)

“Il racconto giusto. Storie di amianto e di operai all’Isochimica di Avellino” di Anselmo Botte: storia di una tragedia rimossa.

Anselmo Botte
“Il racconto giusto. Storie di amianto e di operai all’Isochimica di Avellino”
Ediesse Edizioni – Roma 2014
Prezzo € 8,00


Questo libro raccoglie i racconti di Nicola Abrate, Michele Aversa, Giovanni Donnarumma, Nicolangelo Gravi­na, Antonio Melillo e Carlo Sessa, operai dell'Isochimica di Avellino­. L'azienda di Elio Graziano che negli anni ottanta scoibentò circa tremila carrozze per conto delle Ferrovie dello Sta­to e realizzò la più grande bonifica da amianto in Europa. Attra­verso la loro voce composta senti l'odore, quell'odore acre e pun­gente delle fibre di crocidolite - l'amianto blu - che a migliaia si sono posate nei loro polmoni. Hanno lavorato per anni senza nessuna protezione, un fazzoletto sul naso «come i banditi del farwest», e oggi, dopo trent'anni, fanno i conti col mesotelioma da asbesto, un male che attende con pazienza le sue vittime. Dalla memoria e dal loro linguaggio prendono forma le origini della fab­brica e l'organizzazione dei lavoro, che a dire il vero di organizza­to non aveva niente: una «stecca» per grattare, dell'acido per ri­muovere il catrame. L'assenza assoluta di protezioni, la colpevole reticenza delle istituzioni ha gettato nel terrore la vita di centinaia di lavoratori, quindici sono già morti, gli altri aspettano; ha con­taminato e continua a contaminare il Rione Ferrovia. Una storia di amianto in un territorio devastato dal terremoto del 1980 che ha dato prova di una pessima idea di sviluppo e di riscatto. La rab­bia di essere stati ingannati una volta si unisce alla voglia di giusti­zia che ogni giorno spinge questi lavoratori a chiedere alla società di riparare alla crudeltà della quale si è resa responsabile.