lunedì 24 agosto 2015

"C'è solo vita" di Severino Cesari

Severino Cesari è fondatore e direttore, con Paolo Repetti, di Einaudi Stile Libero che ha nel suo catalogo alcuni dei più famosi (e venduti) scrittori contemporanei come Carlotto, Carofiglio, De Cataldo, De Giovanni, Lucarelli, Massimo Manfredi, Wu Ming, ecc.
Ma anche lui scrive e qui presentiamo una serie di riflessioni sulla malattia e dintorni che ha pubblicato su Facebook e che ci ha concesso di raccogliere e pubblicare su questo blog.

Attesa, ma di che cosa? La parola, stamattina, è venuta da sola.
Una attesa, certo. Ma di che cosa? Di sentire, dalla finestra ancora aperta sulla strada, il rumore gradito del piccolo veicolo compatto pulitore, che arriva una volta sì e due no? 
Non scherzare.
E’ tutto semplice. Le parole si allineano da sole come un pensiero che sorge.
La vita, capisco con un moto quasi doloroso di consapevolezza - ma non è dolore, però una piega, che trafigge – la vita non è una successione, epica o sbandata o derelitta, di giorni, uno dopo l’altro.
Nemmeno quando fu un succedersi di gioia gloriosa, che certo potrà ripetersi, la vita è stata questo.
Non è mai stata un certo numero di giorni che si srotolavano verso un indefinito domani.
No. La vita è sempre stata invece, sempre, un solo, unico giorno.
Un unico giorno. E il miracolo atteso è proprio questo.
Una imminenza.
L’attesa che questo unico, meraviglioso giorno della mia vita, che arriverà con dolcezza o con fatica, e con mille delusioni e dieci vittorie fino a sera, che sprofonderà infine nella notte e nel sonno – l’attesa che questo unico giorno anche oggi possa nascere.
Che possa iniziare, adesso.
Quando spunterà la vera luce.
E’ già cominciato, e non ha fine.
“Buongiorno Severino, vedo che sei tornato al lavoro”.
La farmacia di Piazza Vittorio è appena aperta. Mi accoglie la bella voce robusta di Sebastiano. Il tono, leggermente più serio del solito. C’è solo lui.
Sebastiano è il mio pusher, sa tutto di me. (Non è l’unico, ma degli altri, anzi delle Altre, le Variamente Bellissime, parlo un’altra volta). Sebastiano sa tutto dei milleduecentotre farmaci di ogni genere che mi necessitano, e di cui mi assicura il rifornimento impeccabile. Aggiunge a volte consigli saggi e competenti, frutto di preparazione in molti campi della biologia e della chimica. Aggiunge anche, “ma è a una visione d’insieme delle cose, che dobbiamo tendere”.
Va bene, saprà tutto di me. Non capisco però adesso di che cosa stia parlando. 
“Beh, sei stato tu a scrivere in un post che al risveglio ti eri sentito bene e volevi condividere. Eri stato male a tal punto che nemmeno riuscivi a lavorare. Poi quella specie di risveglio magico. La sensazione di esserti liberato del male. Ti hanno risposto cinquecento persone. Dovresti essergli grato, invece di sbuffare”.
Capisco adesso. Sebastiano è anche amico di fb. E legge. 
Potenza di facebook, è il primo pensiero. Che fa diventare i fatti tuoi, se li racconti, una notizia. Piccola quanto vuoi ma pubblica. 
Bel casino. Accidenti a facebook, è il secondo pensiero, del tutto ingrato.
“Sebastiano, io sono molto timido, lo sai, ed era la prima volta che così tante persone mi manifestavano tutto quell’affetto. Non riuscivo a crederci. Non ce l’ho fatta a rispondere, sono scappato”.
“Sono scappato e non ci ho pensato più, dovresti dire. Bello stronzo. Da una settimana sei pure scomparso di nuovo, a parte Kobane e cose del genere, con tutto il rispetto. Fossi in te, andrei a casa e scriverei un bel grazie. E’ sabato, non c’è neanche la scusa che devi lavorare. Perché ora sei tornato al lavoro, giusto? Le cose vanno meglio, giusto? Nei limiti del possibile, ma è quel che conta”.
Non c’è scampo. Mi incarta la merce e mi saluta con un “E mi raccomando”.
Saluto a mia volta, sulla porta, la prima delle Variamente Bellissime. E’ un po’ trafelata, desiderosa evidentemente di indossare il camice bianco. Le sta così bene, del resto.
Infinite sono le forme della bellezza. 
Infinita la magia della vita.
E’ da stupidi avere paura perché non sai ringraziare.
E’ proprio da stupidi non saper ringraziare, aggiungo.
Quanto ti perdi.
Cinquecento persone che ti dicono, tu sei importante per me, questa cosa che hai scritto è stata stamattina importante per me, non è stata inutile, dunque anche io sono importante per te, è una relazione, dunque forse non lo sai ma abbiamo cominciato a tessere un legame che fa entrambi meno deboli - ed è la prova che siamo vivi, e ci saranno altri risvegli ogni giorno, per tutti noi.
Avete ragione. 
Dico grazie a ciascuna, a ciascuno di voi, dal profondo del cuore.
Ora il nuovo giorno può cominciare davvero.
Grazie, Sebastiano.
.
 Tema: la condivisione della malattia, parte seconda.

Il popolo del port va in vacanza
Due giorni fa ero in clinica, a Quantico.
Io dico Quantico, è più breve.

Mi raggiunge il professor G.. Non l’ho mai visto in questo camice verde, largo e svolazzante.
‘Mi scusi ma preparavo in camera operatoria, sto impiantando un port. Come andiamo?’
Vigorosa stretta di mano. Sempre gioviale, gentilissimo. Scorre il referto degli ultimi esami.
‘Molto bene, ha fatto i compiti, complimenti. Possiamo confermare la vacanza. Così lei salta agosto e vediamo di combinare per i primi di settembre, le faremo avere il foglio dopo la terapia. La lascio nelle mani di suor Nerea.’ – e svolazza già via.
Ma intanto l’ha detto, vero?
Possiamo confermare la vacanza. Così lei salta agosto e vediamo di combinare per i primi di settembre.
L’ha detto.
Sulla soglia, si volta.
‘E ci saluti Paolo Sorrentino’.
Il regista ha avuto la fantasia di chiedermi una piccolissima parte in un suo film famoso, che è molto piaciuto a G. Mi divertii molto, credo senza procurare danni. Da quel momento, per sua bontà d’animo G. tende a immaginarmi immerso, non appena fuori da Quantico, in intimi e continui conversari con Sorrentino. Non voglio deluderlo.
‘Certamente. Ma sa com’è. Ha tanto da fare. Una trottola’.
E così ci siamo, pensai. Dopo le infusioni di oggi mi lasciano libero per tutto agosto.
‘Se permette le apro un po’ il collo della maglietta, così scopriamo la clavicola’. Suor Nerea, l’infermiera di turno alla camera 57, che molto spesso si occupa di me, armeggia con le dita scure, affusolate.
Ventisette anni, tre lauree, parla quattro lingue suor Nerea, alta e flessuosa come una giovane palma. Bianco abbagliante negli occhi neri, scura come solo le figlie dell’India sanno essere. Adora parlar bene dell’Italia. E benissimo della Congregazione. 
Ha messo allo scoperto la modesta protuberanza, a destra in alto nel torace, in corrispondenza della vena succlavia, dove è impiantato il mio port.
Il ‘mio’ port. Che da due anni non mi tradisce.
Non me l'hanno impiantato qui, ricordai. L'hanno fatto lassù, al Policlinico Adelphi.
Chissà a chi starà impiantando il suo port, G..
Chissà quanta gente gira con un port sotto il vestito, come Batman.
Cioè non come Batman, ma ci siamo capiti.
Un catetere venoso centrale, un Cvc sotto gli straccetti di Benetton o di IsseyMiyake, sotto camicette lise o Yamamoto, sotto tailleur, giacche e, d’inverno, pullover, maglioni di tanti colori.
Suor Nerea disinfetta con cura, tenendo sempre scostato il bordo della maglietta. Con l’altra mano avvicina al port un ago enorme, una cannula in realtà, di notevoli dimensioni, una tubatura per dighe. Conosco bene.
‘Adesso inseriamo l’ago per l’infusione. Non pensi a niente. Il solito bel respiro. Si chiama ago di Huber, non so perché. Ecco, abbiamo fatto’.
Ho sentito benissimo. Il momento in cui l’ago penetra sottocutaneo, poi il momento in cui si connette con il port.
Una connessione, in effetti.
L’ago entra nel port, il port tramite l’ago connette l’organismo alla macchina erogatrice.
Come una macchina che in realtà si completi e cominci così a funzionare.
Quando ero in dialisi, il principio era all’incirca lo stesso.
Comunque, una connessione uomo-macchina.
Dicono che un port-a-cath sia testato per duemila di queste connessioni.
Quante ne avrò fatte io?
Suor Nerea incerotta bene tutto intorno, poi, soddisfatta:
‘Ecco, così non si stacca’.
Si alza, in un fruscio di vesti.
‘Poi la torno a trovare. Ho sentito che le lasciano agosto senza terapia. Va in vacanza?’
Chissà a chi sta impiantando il suo port, il professor G., qui a Quantico.
Chissà a chi stanno impiantando i loro port, in quella sorta di Geenna che era il reparto dell'Adelphi.
Mi immagino un popolo ampio, un corteo lento senza bandiere, di segreti portatori di port. Una indistruttibile legione paziente, che aumenta le sue fila ogni giorno.
Se vi impiantano un port è come avere una presa elettrica sotto la pelle, predisposta per attaccare la spina ogni volta che volete. Attraverso la presa vi collegate a una macchina, appesa a un treppiede, che eroga e centellina le flebo che contengono l’energia elettrica, pardon i farmaci previsti dal protocollo della vostra terapia, che in questo modo arrivano all’organismo nel modo più efficiente e per lui meno dannoso.
Un dispositivo biotecnologico che consente un accesso venoso centrale permanente.
Un catetere ad alta tecnologia, in sostanza.
Altro che le braccia blu e le vene rotte per i soliti aghi dei prelievi manuali, quando l’impianto non ce l’hai.
Sono molto orgoglioso del mio port.
E’ in effetti la cosa più simile a un Bat-apparecchio, un Bat-qualcosa che mi sia capitato.
Voi non lo sapete, ma io ho un port, sotto la polo.
E adesso vado pure in vacanza, non appena stacco da qui.
Ecco,‘staccare’ è il verbo giusto.
‘Sì, suor Nerea, andremo qualche giorno in un’isola qui vicino. Ventotene’.
Ecco, l’ho detto.
‘E lei non ci va, in vacanza?’
Si schermisce, chiude un momento gli occhi.
‘No, proprio in vacanza no, c’è tanto da fare qui, nella Casa delle Suore. Però tutte le domeniche prima di cena usciamo qui intorno a passeggio con Suor Benedetta’.
E’ proprio un moto di affetto, che nasce spontaneo dal cuore, senza ritegno.
Per Suor Nerea e la sua vacanza domenicale, e per le sue sorelle.
Per i bravi medici di Quantico.
Per G., che sta impiantando ancora il suo port.
Per Paolo Sorrentino, l’amico geniale. Ciao Paolo, non ti vedo da anni, a parte le tue fugaci apparizioni al Milky Bar, non ti stupirai di essere molto apprezzato anche qui.
Per il popolo dei port, che si aggira forse confuso e disperso, forse segretamente umiliato.
Che non ha ancora imparato ad essere orgoglioso di portare il port.
Oggi la buona notizia è questa, popolo del port, e voialtri che per amore assistete il popolo del port, e avete, per forza, sviluppato una sorta di simbiosi, di cui a volte vi chiedete il perché.
La notizia è che possiamo andare in vacanza anche noi.
Noi popolo del port, con gi amici e le amiche.
Io, ci andrò.
Tra pochissimi giorni, mi dissi.
Facciamo domenica.
E’ consentito essere amico di una suora? Una suora poi, che è anche la tua infermiera? Spero di sì.
Staccami allora presto questo ago, questa cannula, questo tronco di pino, per quanto comodissimo e tecnologico ed efficiente, mia nuova amica.
E’ pure bello essere Batman ma a volte, che fatica.
Voglio andare a Ventotene.
Voglio camminare nell’acqua del mare.

E’ mattino, lontani gli effetti della terapia, dalle Forze Benevole in ogni tua corda quella energia che ti spinge a dire sì, il sì che è gratitudine, che è tutto, anche dovesse presto esaurirsi puoi intanto compiere le giuste imprese, lavarti, indossare i vestiti, uscire all’aperto, preparare il cammino del giorno.

Il popolo del port: vacanza o non vacanza
Il popolo del port lo sa, non c’è rosa senza spine. Così quando vi dicono che vi danno ‘un mese di pausa dalla terapia’ e voi partite tutti contenti per, che so, una settimana a Ventotene, dimenticatevi pure, sul momento - presi dall’euforia e diciamolo pure, dal timore della partenza - di dare un’occhiatina alle istruzioni per l’uso: ma al ritorno non vi lamentate.
Adesso che sei tornato da giorni magari puoi darla, quell’occhiatina. Anche retroattiva.
Scopri così che il mese di ‘pausa’ o di ‘vacanza’ dalla terapia andava inteso come diviso in due periodi, e che insomma solo con un po’ di fantasia e ottimismo si poteva definire in effetti ‘un mese di vacanza dalla terapia’.
Ammesso che tu segua il protocollo Lannister-Foruncolatumimab (non sono i nomi veri) composto da due farmaci - un classico sterminatore di cellule più un innovativo monoclonale mirato che ha effetti volta per volta imprevedibili – scopri che le prime due settimane di ‘vacanza’ prevedevano in pratica uno sdoppiamento della terapia.
Metà subito: il Foruncolatumimab, in una sola dose, immediatamente prima della ‘vacanza’, usando come è naturale il predisposto port: così te ne vai una settimana a Ventotene e devi tener conto solo dei possibili effetti suoi, del monoclonale, imprevedibili, non di quelli di entrambi: e speriamo in bene ma si sa il caldo non aiuta.
Il Lannister te lo fai invece con tutta calma al ritorno, una settimana dopo, a comode dose giornaliere, per una settimana.
Poi basta. I quindici giorni che rimangono, dal lunedì di Ferragosto in poi, sono di pausa effettiva e completa dalla terapia, dicono le istruzioni per l’uso, che nella fretta e nell’euforia, e nel timore perfino, diciamolo pure, poi rivelatosi del tutto infondato, della vacanza tendevi a rimuovere. Seguiranno quindi questi quindici giorni senza alcuna terapia. Quindici giorni cioè di ‘pausa vera’. Sperando che il Lannister, lo sterminatore di cellule, se ne stia buono e non prolunghi poi gli effettacci suoi oltre la settimana di competenza, violando il recinto dei quindici santi giorni.
In effetti, così fa il suo dovere un protocollo Lannister-Foruncolatumimab, per quanto distribuito eccezionalmente su due settimane.
Lo sapevo, in fondo. Che un piccolo prezzo ci sarebbe stato, decidendo di partire ‘malgrado tutto’. Pensavo, vale la pena.
Vale sempre la pena.
Siamo tornati da Ventotene con la memoria dell’isola fusa nelle cellule, le sensazioni intatte di ogni cosa vista e scoperta e amata.
Sì, valeva la pena, malgrado i piccoli fastidi.
Vado a trovare Sebastiano, in farmacia.
Adela, la farmacista dalla pelle ambrata e i capelli raccolti da un lato, sta ascoltando con attenzione il confuso racconto di un signore alto e magro in maglietta blu che si è svegliato provando una serie di doloretti “qui”, e alza bene il naso in aria, “e mi sembra anche qui”.
"Dormiva con l'aria condizionata?"
"Sì, non è mica proibito". Adela, imperturbabile, annuisce, si passa una mano con gesto morbido sulla lunga treccia, va sicura a uno dei lunghi cassetti silenziosi a scorrimento, e già torna con un micro pacchetto. Scuola Sebastiano.
Lo sostengo da sempre, questa farmacia è un faro di civiltà, se non ci fosse un buco nero inghiottirebbe l’Esquilino intero nell’insignificanza.
“Buongiorno Severino, com’è l’isola?” Sebastiano non chiede come era, ma come è. Dettagli, ma contano.
“Molto bella è dire poco, Sebastiano. Giorni indimenticabili. Ho scoperto poi una cosa per me importantissima, che si può andare e tornare. Tu dirai è ovvio ma per me è una conquista. C’è solo un piccolo fastidio. Il monoclonale si è scatenato e da una settimana ho il torace coperto di macchioline infette che non mi fanno dormire per il prurito. A Ventotene pensavo fosse solo un eritema ma son tutto coperto di bolle col puntino bianco, dal collo in giù. Non è un bello spettacolo, fidati”.
Adela lancia un’occhiata strana, capisco che apprezza. Va bene il faro di civiltà ma non esageriamo.
“Ci metto le creme speciali e prendo sempre l’antibiotico. Da Quantico consigliano di non aggiungere altro. Se poi peggiora mi alzano l’antibiotico. Io sono d’accordo, mi chiedevo solo se…”
“Per carità. Di sicuro è stato il monoclonale. Mentre eri via mi sono studiato gli effetti del Foruncolatumimab. Certo che te li poteva risparmiare stavolta. Bisogna dire che il caldo non aiuta. E non aiuta che adesso ci devi prendere sopra il Lannister, con gli effetti suoi. Dicono che quello paga sempre i suoi debiti. Magari eri anche un po’ stressato, confessa. Comunque i tuoi medici hanno ragione. Certo devi farti passare questo sfogo, vacanza o non vacanza. Ti stanno spuntando le bolle anche sul viso. Ma fammi vedere che creme prendi. Vedo che te ne hanno prescritte tre diverse”.
E’ già al computer e controlla ordini, piani terapeutici, rifornimenti. Prepara in un minuto uno schema minuzioso di uso a seconda dell’esposizione e dei momenti. Senza trascurare il viso e le altre parti esposte. Evitiamo che si estenda lì. Bisogna sempre veder le cose nell’insieme.
Come ha detto? Vacanza o non vacanza?
E io che già persino nella magia falesia dell’isola, nel suo ventoso stupore, avevo talvolta lasciato passare il pessimo umore per l’inopportuno sfogo del folletto Foruncolatumimab. Il folletto molesto che fa bene e combatte il male, ma a modo suo.
Per non parlare del’odierno, odioso Lannister. I miei fedeli compagni di viaggio, a pensarci.
Sono di colpo grato a Sebastiano, perché le sue parole – ‘vacanza o non vacanza’ – mi fanno scattare una sorta di interruttore che spegne, senza preavviso, ogni pensiero.
E’ molto meglio, non affannarsi a far qualcosa solo nell'ansia di 'non guastarsi la ‘vacanza’, solo per 'passar meglio la vacanza’, molto meglio non dover fare o non fare qualcosa solo per timore di ‘sprecare i pochi giorni di vacanza’, e tremare intanto come una foglia per qualunque cosa possa intaccare o ridurre o disintegrare il piccolo supposto tesoro, destinato inevitabilmente a scemare.
Molto meglio non dover vivere nella paura di 'sprecare i pochi giorni di vacanza', o 'sprecare i giorni di ‘pausa dalla terapia’, che è lo stesso.
Perché, quando poi finirà l’agognata pausa dalla terapia, che cosa farò?
La terapia, naturalmente.
Meglio avere un piano B, non trovate?
Vacanza o non vacanza, le cose accadono.
Va bene, la terapia in un certo senso non finisce mai.
Sono perfette illusioni, nocive. La pausa, la vacanza. Non esistono.
Un senso crescente di gioia per la comprensione che il tempo è uno solo, è fatto di partenze, ritorni, isole, eritemi che sono forse sfoghi forse no, meraviglie improvvise e infinite, farmaci e ancora farmaci, il calore costante e nuovo delle amicizie, farmacie, medici pazienti, terapia senza fine, signori incomprensibili con la maglietta blu e ridicoli nonnulla, i libri e il lavoro che, altrettanto pazienti che i medici, mi aspettano a casa, e altrove. E vacanze sempre, anche ogni giorno, meravigliose come i giorni passati sull’isola, con il dono dei tuoi affetti più cari, corte o lunghe sempre te le potrai prendere, e sempre si può andare e tornare, vacanze dentro la vita normale, tutt’uno con la vita, sempre, nelle infinite isole che esistono. Pause dalla terapia ogni volta, ogni giorno, sempre, una pausa lunga una vita, una pausa di cui la terapia fa parte, perfino, non più pausa, solo vita.
Non c’è pausa. Non c’è vacanza.
E con questo?

C’è solo vita.

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