domenica 3 gennaio 2016

"L’esercizio quotidiano dell’amore" Uno scritto di Severino Cesari

Una delle più belle testimonianze sull'impatto che la complessità di certe cure pesanti hanno sulla persona che si cura, e su chi gli sta vicino e si prende cura di lui/lei.
Di Severino Cesari, dalla sua bacheca Facebook del 2 Gennaio 2016
L’esercizio quotidiano dell’amore
“Manu, sono finite le medicine”.
“Ma no, devo solo rifarle, ho fatto rifornimento ieri, sono passata da Ignazio per le impegnative poi da Sebastiano in farmacia, tu stavi dormendo”.
Nella quieta luce un po’ lattiginosa che entra dal terrazzo, nel pomeriggio pigrissimo del primo giorno dell’anno, Emanuela non è per niente pigra.
Già, deve ‘solo’ ‘rifare le medicine’.
Per rifare le medicine, si fa così.
Emanuela prende una larga e quadrata scatola delle scarpe – di stivali, io penso, è grandissima – molto robusta, di un bel colore quasi ruggine, di solito parcheggiata nello sgabuzzino, dove custodisce il tesoro: continuamente alimentato con i suoi pellegrinaggi in giro per la città da donna cacciatrice-procacciatrice. 
(A volte i pellegrinaggi a caccia di farmaci sono miei, ma più di rado per la verità. A caccia nelle strade, inseguendo gli autobus, va lei).
Poi, senza nemmeno far ricorso a foglietti appunti o altri ausili mnemotecnici, prepara davanti a sé, sul piano vasto e bianco della cucina, due dozzine di ex- boccettine di medicinali ormai vuote e ‘fa le medicine’.
Inutile dirlo, assisto affascinato.
Affascinato e sgomento, in un certo senso, per la sua efficienza.
Emanuela estrae a colpo sicuro dalla scatolona degli stivali una scatolina bianca e gialla oppure blu o rossa bordata di bianco, e seguendo un proprio ordine che è diventato ritmo estrae da ogni scatolina, da ogni blister la giusta dose di pillole o compresse, secondo le prescrizioni mediche che variano spesso, e deposita la pillola o le pillole, le compresse, la medicina insomma, il farmaco, in una boccetta. Ripete per tutte le boccettine schierate. 
Mentre governa le boccettine trova tempo di parlare con Theo, spiegandogli le nuove regole dei bisognini - sopra le casse acustiche, per quanto marroni, in camera mia, non si fanno - e con Ortensio. Con Ortensio più che altro per quello spirito di conversazione colto e pieno di riferimenti che notoriamente i gatti apprezzano, difatti Ortensio si sdraia a pancia in aria sul parquet rovesciandosi di colpo da un lato all’altro, e risponde.
Distribuito un farmaco, Emanuela passa a quello successivo. Sono in tutto ogni volta da otto dieci specialità, ognuna con il suo dosaggio, ognuna con i suoi problemi di approvvigionamento, tante sono le medicine di supporto giornaliero alla terapia fondamentale – e aggiungiamo pure le cinque iniezioni che hanno una liturgia a sé.
E aggiungiamo le medicine per i giorni speciali, per esempio quelle necessarie per tamponare gli effetti della terapia stessa, che di recente è cambiata, e non si sa mai che cosa può accadere, ma di questo vi racconto un'altra volta.
(Poi una volta vi racconterò anche a che cosa servono tutte queste medicine, è una storia a suo modo divertente. Sebastiano un giorno mi ha spiegato bene, dato che a Quantico sono sempre un po' di fretta, e si capisce).
In un baleno vedo ben schierate due dozzine di bottigliette chiuse, che sembrano nuove nuove, di fabbrica.
Ognuna contiene la razione di terapia supplementare di una giornata.
Un coacervo di scatoline di cartoncino bianche e gialle, blu o altrimenti colorate, tutte vuote, e di blister di plastica stropicciati grigi e bianchi, testimonia il trionfo dell’ordine sull’entropia, sempre precario per carità, la vittoria dell’umanità razionale e dotata di previsione sul caos e l’informe. 
In definitiva, testimonia la vittoria della Terapia, della Cura, sulla Non-cura.
Ovvero, a voler spendere una parola grossa, la vittoria della Cura sull’In-curia.
Che non fa bene, affatto.
Proprio no.
(E parla ahimè, di già, quel mucchio, di prossime scorribande nella giungla, per procacciarsi il cibo, pardon le medicine).
Ecco come si fa a ‘fare le medicine’.
Non mi dite che non vi è mai capitato, che scrivo arabo.
Questo penso nel pigrissimo pomeriggio del primo giorno dell’anno nuovo, che, l’abbiamo visto, era poi pigro solo per me.
“E ora non ci sono scuse per non prenderle all’orario giusto. Contando la boccettina per oggi e quella di domani ti ho rifatto le medicine per due settimane. Forse è il caso che tu collabori”.
Mi risveglio come al colpo di un gong.
Ecco che un gesto meccanico e abitudinario ormai, ‘preparare le medicine’ – così lo pensavo, nel mio pigro non-pensiero - si rivela parte essenziale della cura. Si svela essere la cura stessa. Aldilà del fatto che nella terapia, quella che si svolge ogni due settimane a Quantico, ci siano momenti e gadget, come dire, molto più spettacolari.
In realtà l’unica cosa che conta e che vale è la cura che fai ogni momento, quella che fai adesso.
Al momento giusto, assecondando il ritmo dei movimenti di Emanuela.
Non ce n’è un’altra, di cura.
C’è questa.
Guardo meglio Emanuela, in questo pomeriggio con la luce sempre meno lattiginosa, sempre più venata di buio.
E capisco all’improvviso qual è il nome vero di ciò che è accaduto.
Non si tratta di ‘fare le medicine’.
Io sono nient’altro che la cura che faccio.
E non sono solo nel farla. 
La cura, presuppone l’esercizio quotidiano dell’amore.
Non c’è altra vita che questa, adesso, questa vita meravigliosa che permette altra vita. 
In una ghirlanda magica, un rimandarsi continuo.
Mi travolge un’onda di gratitudine senza fine. 
Non poteva esserci migliore inizio d’anno per me, che questo passato a rifare le medicine.
(Poi faremo anche qualche altra cosa, si intende. O la rifaremo).
Curarsi, praticare con metodo ed efficienza la cura che devi obbligatoriamente fare, vuol dire star bene, in linea di massima. E star bene vuol dire diminuire gli affanni procurati, diminuire il tempo in cui dipendi dagli altri, in cui volente o nolente, costringi gli altri a occuparsi di te.
Grazie, Emanuela.
L’esercizio quotidiano dell’amore, questo infine auguro a tutti, a tutte.
Non c’è altro, credete.
Se non avete sottomano l’opportunità di una cura da fare, scherzo ma fino a un certo punto! potete sempre però, prendervi cura.
Prendervi cura di voi stessi, e di quelli cui volete bene.
E magari anche degli altri.
Non c’è davvero altro, credete.
Buon anno nuovo.