venerdì 31 luglio 2015

"Un mare di ... cenci" Un racconto di Gloria Ricci, figlia di un cernitore di Prato, morto per mesotelioma

Cenci! Stracci! Cenci! Stracci!
Un mare di cenci e…… lei, la città di Prato, antica e moderna insieme, navigava , caravella sicura, in quella distesa variopinta.
I cenci arrivavano da ogni dove,da Paesi lontani geograficamente e culturalmente: da tutta l’Europa, dalla lontana e fredda Russia, dalla progredita America, ma anche dall’Australia e dalla nera Africa.
Un’esplosione di stracci!
Quintali di cenci|
Vagoni di stracci!
E Prato, divenuta facoltà e magistero della cultura dello straccio, si faceva grande grazie alla maestria e forse anche alla magia di loro,dei “professori”, seduti, culo per terra, a classificare i cenci: i cenciaioli!
Nascevano cenciaioli!
Trascorrevano lunghe giornate di lavoro seduti, in freddi stanzoni, con le gambe incrociate a scegliere i cenci.
Quei cenci volavano via dalle loro forti mani, attratti e sospinti da un fluido magico, poi atterravano,come ballerini danzanti, sul mucchio a cui erano destinati.
E là, sul grigio ed inanimato cemento, si componevano tavolozze di colori create da pittori senza pennello.
I cenciaioli erano uomini ai quali il mondo pareva un arcano firmamento di cenci in attesa del sapiente e magico prodigio delle loro abili mani:
E’ lana!
E’ seta!
E’ canapa!
E’ cotone!
E via! Continua la danza!
Erano mani infallibili, capaci di sentire, al semplice tocco delle dita, la qualità del tessuto e di selezionarlo con una rapidità incredibile.
E fra tutte quelle mani rivedo il mio babbo.
Nato cenciaiolo.
Vissuto in mezzo ai cenci.
Morto a causa dei cenci.
Le sue mani erano forti, capaci di sfoderare e cernere per ore ed ore, sette giorni alla settimana, con il desiderio di costruirsi una casa, di far studiare la figlia,di comprarsi un’utilitaria per andare a far merenda in Galceti o per trascorrere, in agosto, qualche giorno a Viareggio.
Eppure erano anche mani delicate,capaci di accarezzarmi, di stringermi, di guidarmi, di consolarmi………
Mani che ora non ci sono più, ma che insieme a tante altre, hanno fatto grande la nostra Prato.
Mani e schiene di uomini che sorreggono Prato assieme al peso di tutte quelle pagine che nemmeno li ricordano.


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