Il brano sotto riportato fa parte del racconto di Pulixi inserito nell'antologia "nessuno ci ridurrà al silenzio" (ed. Cento Autori) curata per noi da Maurizio de Giovanni. Inseriamo questo brano nel blog perché in questo racconto nasce un nuovo personaggio che l'autore poi ha sviluppato in altri racconti: il commissario Carla Rame. Di Piergiorgio Pulixi, uno scrittore in forte ascesa, sta per uscire un nuovo romanzo della "serie" dedicata alla banda di Biagio Mazzeo, che promette di essere ancora un noir bello ed intenso da togliere il fiato.
Di notte siamo tutti più deboli. I rimpianti, i ricordi, i
rimorsi, la paura per il futuro, con il buio triplicano d’intensità. La luce li
scaccia via, o sembra attenuarne la forza. Ma nella solitudine dell’oscurità
non c’è nulla in grado di fermarli. Ti si schiantano addosso come una macchina
fuori controllo, e tu lì, piantato in mezzo alla strada, impossibilitato a
muovere un muscolo.
Io la
notte sono debolissima. Il mio appartamento è troppo silenzioso. Combattere con
i miei pensieri, troppo arduo. Per questo mi sono fatta spostare al turno
notturno. Per rimanere impegnata, pensare al lavoro e non ai miei casini. Scaccio
i miei problemi con quelli degli altri. Per ora funziona. So che non è una
soluzione e che sto rimandando il problema, ma per adesso va bene così. Finché
Leonardo si deciderà finalmente a lasciare la moglie perlomeno e verrà a
riscaldare il mio letto sette giorni su sette. O magari anche questa è solo una
disperata illusione. Forse la più grande di tutte.
Certe
notti in commissariato sembrano non passare mai. Altre schizzano via veloci
come un proiettile, ma alcune - come questa - non ne vogliono sapere di
passare. Odio quand’è così, perché l’attesa e la noia mi fanno venire fame. So
di non poter mangiare per via di questa cavolo di dieta singhiozzante che mi
tiro dietro da anni ormai, così come so che per ingannare la fame mi getterò
sui caffè della macchinetta, e quando smonterò ne avrò bevuti talmente tanti
che di dormire se ne riparlerà la settimana prossima. È bastarda la noia. Quasi
quanto quegli uomini che dicono di amarti ma non riescono a troncare con le
mogli.
Do
un’occhiata all’orologio: le tre e mezza. Basta scartoffie e Norah Jones in sottofondo. Mi metto il cappotto e prendo
le chiavi della macchina. Basta ufficio. Ho voglia di scivolare sul litorale,
rincorrendo il riflesso della luna sull’acqua, i finestrini aperti, e il
borbottio del mare e il suo respiro fresco a riempire l’auto. A riempire me.
«Galante?»
dico al piantone.
«Commissario?».
«Senti, io
esco. Faccio qualche giro, tengo cellulare e radio accesi ovviamente. Per
qualsiasi cosa chiamami».
«Ma… e chi
rimane come supervisore?».
«Podda.
Sta dormendo nel suo ufficio».
«Come
sempre».
«Eh, sì.
Come sempre. E tu cosa stavi facendo?».
«Un cazzo,
dottoressa…».
«Come
sempre, no?».
Galante
sorride e mi accompagna fuori. «Mica possiamo tutti lavorare come macchine come
fa lei, dottore’».
«Lasciamo
stare, guarda. A volte più che il poliziotto mi sembra di fare l’archivista… e
quei bastardi della diurna che lasciano tutte le scartoffie a noi, prima o poi
gliela farò pagare…».
«Scartoffie
a parte, nottata tranquilla, eh?».
«Per ora…»
rispondo.
«Ma com’è
che lei fa sempre le notti? Insonnia?».
«Qualcosa
del genere… Ci vediamo più tardi, ok?».
«Ok. Buon
giretto, dottore’».
«Grazie».
Faccio
giusto in tempo ad accendere una sigaretta e togliere l’antifurto alla macchina
che Galante mi richiama.
«Dottoressa!
Sparatoria in casa!».
«Giusto
quello che mi mancava…».
Mi volto
verso i gradini della questura. Due boccate alla cicca e la lascio cadere a
terra. Salgo le scale di corsa e corro al telefono che Galante mi sta porgendo.
«Sì?».
«Commissario?»
dice Madeddu un veterano della Mobile.
«Sì, sono
io».
«Ascolti è
meglio che venga qui. Abbiamo un grosso problema…».
«Che
genere di problema».
«Possibile
triplice omicidio…».
Alla
faccia della nottata tranquilla.
«Cosa vuol
dire possibile?».
«I
testimoni non ne sono sicuri…».
«Ok, sto
arrivando» taglio corto.
«C’è
dell’altro, dottore’».
«Che
c’è?».
«L’assassino
è ancora dentro la casa e ha in ostaggio due persone».
«Merda…».
«Già».
Mi faccio
dare l’indirizzo esatto e metto giù.
«Problemi?»
chiede Galante.
«Già.
Bisogna allertare i NOCS. Ci pensi tu? Mandali a quest’indirizzo e sveglia
Podda. Io corro lì».
«Stia
attenta dottore’».
«Dì a
Podda di avvisare anche il pm di turno!».
«Ok».
Corro
fuori, metto in moto e schizzo via dal parcheggio. Mentre volo verso la scena
del crimine mi rendo conto di essermi dimenticata la pistola in ufficio.
«Complimenti…»
sospiro.
Accendo la
radio di servizio e faccio convergere quattro pantere sul luogo degli omicidi.
Sono le tre e quarantotto, e da quattro minuti non è più una nottata
tranquilla.
(continua ...)
(continua ...)
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