lunedì 27 aprile 2015

LAVORO E CONDIZIONE OPERAIA

“Mi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo.”
KHALIL GIBRAN

Certamente il lavoro produce meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce palazzi, ma caverne per l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte. Produce spiritualità, e produce l'imbecillità, il cretinismo dell'operaio.
KARL MARX

L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo moderno non ha bisogno di schiavi.
BERTRAND RUSSELL

C'è la diffusa tendenza da parte delle imprese, a considerarti un beneficato, per la sola ragione che pagano il tuo lavoro.
ENZO BIAGI

 “Molto male è venuto dalle fabbriche, e nelle fabbriche bisogna correggerlo. È difficile, forse non è impossibile. Bisognerebbe anzitutto che gli specialisti, gli ingegneri e gli altri fossero sufficientemente preoccupati non solo di costruire oggetti, ma di non distruggere uomini. Non di renderli docili, e neppure felici, ma solo di non costringere nessuno di loro ad avvilirsi”. 
SIMONE WEIL

“Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati”
PABLO NERUDA

“… noi la condizione operaia non la vediamo proprio, nelle fabbriche non entriamo più. Sono piuttosto gli operai ad uscirne: vuoi perché cala drammaticamente l’occupazione, togliendo a un’intera generazione il fondamento della cittadinanza repubblicana, vuoi perché sono costretti, per esempio, a salire sul silo dell’impianto Alcoa di Portovesme, per richiamare l’attenzione di un’opinione pubblica distratta, troppo distratta, colpevolmente distratta; vuoi, infine, perché al lavoro di milioni di immigrati non riconosciamo alcun diritto di esprimersi politicamente.
Vaste zone di invisibilità circondano infatti la regione più fortunata (e più ristretta) sulla quale si accendono le luci dei media. Per spostare qualche riflettore occorrono spesso gesti eclatanti. Gesti particolari, eccezionali, attraverso i quali si mette in gioco nulla meno della totalità della propria esistenza. Si sospende la propria vita sulla ringhiera di una torre, a decine di metri di altezza, o ci si dà addirittura fuoco, per bruciare la propria disperazione. Chi conosce la logica e le sue determinazioni non può non notare il terribile corto circuito che così si produce: nello spazio pubblico si fa sempre più fatica a rispettare la funzione della rappresentanza, di modo che la parte viene spinta con brutalità a identificarsi da sola con il tutto, a coincidere immediatamente con l’universale, senza la mediazione del generale, senza il riconoscimento e la valorizzazione di una comune appartenenza.
Ma questi ragionamenti dialettici non si capiscono più. Diciamo allora così: nessuno entra più nello spazio pubblico in virtù di una storia collettiva, ma solo in forza di una storia individuale. La prima richiede una risposta politica, la seconda riceve per lo più una risposta morale. Umana comprensione, accompagnata da un brivido estetico di terrore o di pietà, ma poco altro.”
(“La Condizione Operaia”  L’Unità, 16 settembre 2012)

Nessun commento:

Posta un commento