“Mi considerano pazzo perché
non voglio vendere i
miei giorni in cambio di
oro. E io li giudico pazzi perché
pensano che i miei giorni abbiano
un prezzo.”
KHALIL GIBRAN
KHALIL GIBRAN
Certamente il lavoro produce
meraviglie per i ricchi, ma produce lo spogliamento dell'operaio. Produce
palazzi, ma caverne per l'operaio. Produce bellezza, ma deformità per
l'operaio. Esso sostituisce il lavoro con le macchine, ma respinge una parte
dei lavoratori ad un lavoro barbarico, e riduce a macchine l'altra parte.
Produce spiritualità, e produce l'imbecillità, il cretinismo dell'operaio.
KARL MARX
KARL MARX
L'etica del lavoro è l'etica degli schiavi, e il mondo
moderno non ha bisogno di schiavi.
BERTRAND RUSSELL
BERTRAND RUSSELL
C'è la diffusa tendenza
da parte delle imprese, a considerarti un beneficato, per la sola ragione che
pagano il tuo lavoro.
ENZO BIAGI
ENZO BIAGI
“Molto male è venuto dalle fabbriche, e nelle
fabbriche bisogna correggerlo. È difficile, forse non è impossibile.
Bisognerebbe anzitutto che gli specialisti, gli ingegneri e gli altri fossero
sufficientemente preoccupati non solo di costruire oggetti, ma di non
distruggere uomini. Non di renderli docili, e neppure felici, ma solo di non
costringere nessuno di loro ad avvilirsi”.
SIMONE WEIL
“Lentamente
muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia
la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, chi non si permette almeno
una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati”
PABLO NERUDA
“… noi la
condizione operaia non la vediamo proprio, nelle fabbriche non entriamo più.
Sono piuttosto gli operai ad uscirne: vuoi perché cala drammaticamente
l’occupazione, togliendo a un’intera generazione il fondamento della
cittadinanza repubblicana, vuoi perché sono costretti, per esempio, a salire
sul silo dell’impianto Alcoa di Portovesme, per richiamare l’attenzione di
un’opinione pubblica distratta, troppo distratta, colpevolmente distratta;
vuoi, infine, perché al lavoro di milioni di immigrati non riconosciamo alcun
diritto di esprimersi politicamente.
Vaste zone
di invisibilità circondano infatti la regione più fortunata (e più ristretta)
sulla quale si accendono le luci dei media. Per spostare qualche riflettore
occorrono spesso gesti eclatanti. Gesti particolari, eccezionali, attraverso i
quali si mette in gioco nulla meno della totalità della propria esistenza. Si
sospende la propria vita sulla ringhiera di una torre, a decine di metri di
altezza, o ci si dà addirittura fuoco, per bruciare la propria disperazione.
Chi conosce la logica e le sue determinazioni non può non notare il terribile
corto circuito che così si produce: nello spazio pubblico si fa sempre più
fatica a rispettare la funzione della rappresentanza, di modo che la parte viene
spinta con brutalità a identificarsi da sola con il tutto, a coincidere
immediatamente con l’universale, senza la mediazione del generale, senza il
riconoscimento e la valorizzazione di una comune appartenenza.
Ma questi
ragionamenti dialettici non si capiscono più. Diciamo allora così: nessuno
entra più nello spazio pubblico in virtù di una storia collettiva, ma solo in
forza di una storia individuale. La prima richiede una risposta politica, la
seconda riceve per lo più una risposta morale. Umana comprensione, accompagnata
da un brivido estetico di terrore o di pietà, ma poco altro.”
(“La Condizione Operaia” L’Unità, 16 settembre 2012)
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